Un viaggio verso il Sole passando per l’Antartide.

(A cura di Chiara Casini, Università degli Studi di Firenze)

Dov’è la fine del mondo? Come i terrapiattisti ci insegnano, è al Polo Sud, circondata da militari che bloccano il passaggio ai comuni mortali. Più “seriamente” la fine del mondo si trova davvero al Polo Sud, per la precisione alla Base Concordia.

La Concordia è una base permanente italo-francese attiva dal 1993, situata a più di 3000 metri s.l.m. sull’altopiano del Dome-C, in cui vengono effettuati diversi esperimenti scientifici, dalla glaciologia allo studio dell’atmosfera terrestre passando per l’astronomia. Verrebbe spontaneo chiedersi: perché condurre esperimenti al Polo Sud dovendo aggiungere ai costi già elevati, le spese di trasporto del cibo (con rifornimenti che durano 25 giorni) e il dovere di gestire i rifiuti in autonomia - visto che il Polo Sud non appartiene a nessuna nazione? Ebbene, i tre mesi di notte polare in cui si ha un’atmosfera tersa e un cielo senza nuvole rendono la Concordia un posto privilegiato per le osservazioni notturne, mentre i tre mesi di giorno polare fanno sì che sia un ottimo sito per le osservazioni del nostro amato Sole.

Figura 1: Un esempio di aurora australe visibile in Patagonia. Immagine distribuita sotto licenza Creative Commons CC0.

Essendo privo di di inquinamento luminoso e atmosferico, il cielo visibile dal Polo Sud è migliore di un fattore da 2 a 3 rispetto a quello hawaiano (sì, gli astrofisici hanno i telescopi nei posti più belli del Pianeta). Questo, insieme al basso contenuto di vapore acqueo nell’atmosfera, rende il Polo Sud il luogo migliore per osservare direttamente l’atmosfera esterna del Sole, la corona, nonostante essa abbia bassa luminosità. Inoltre, la temperatura rigida e le condizioni del vento limitano i fenomeni di turbolenza e forniscono una stabilità ambientale ideale per l’acquisizione di immagini ad altissima risoluzione spaziale. Questo risulta cruciale per ricavare un’immagine da diversi secondi o minuti di esposizione. Un altro grande vantaggio è la continuità dell’osservazione, 24 ore al giorno. In sintesi questo sito permette di osservare elementi coronali molto vicini al disco solare in condizioni che si trovano raramente in altri luoghi della Terra.

Studiare e prevedere cosa succede sul Sole è di fondamentale importanza sia per indagare fenomeni fisici non ancora del tutto chiari, sia per la prevenzione di eventuali danni causati dalle particelle cariche, rilasciate dal Sole, che raggiungono la Terra oltrepassando il nostro campo magnetico. Ad esempio, la corrente aggiuntiva data da tali particelle disturba la rete elettrica e può portare a sovraccarichi di potenza, che devono essere compensati da un’opportuna regolazione di tensione durante le tempeste solari. Un altro problema riguarda l’aumento del traffico aereo sui poli: operare rotte circumpolari, molto più economiche per le compagnie aeree, risulta rischioso durante eventi solari intensi. Questi ultimi causano, ad esempio, le aurore boreali che diminuiscono la sicurezza delle trasmissioni radio, delle condutture e dei sistemi di trasmissione elettrica degli aeroplani. Pertanto lo Space Weather (una sorta di meteo spaziale) è di estrema importanza, e la capacità di prevedere i brillamenti solari (vedi dopo) aiuta le compagnie aeree a ottimizzare i percorsi di viaggio riducendo i rischi. I fenomeni come i brillamenti non possono essere previsti, ma i loro effetti impiegano 2-3 giorni ad arrivare fino a noi: monitorando l’attività solare è possibile agire per tempo diramando un’opportuna allerta.

Infine, gli effetti dell’attività solare sui sistemi di telecomunicazione sono di enorme importanza per la vita di tutti i giorni: chi di noi non si è arrabbiato se abbandonato dal navigatore satellitare nel bel mezzo del nulla? Oppure durante la perdita di segnale della radio durante la propria canzone preferita? Le interferenze dovute alle particelle cariche provenienti dal Sole possono disturbare i segnali radio rendendo difficoltose le telecomunicazioni. Questo può essere soprattutto un problema per le regioni con centri abitati molto isolati tra di loro, con distanze anche di centinaia di chilometri.

Il Sole, la nostra bella e amata stella, è classificata dagli astronomi come una nana gialla e si suddivide in una zona interna (nucleo, zona radiativa, convettiva e fotosfera: quest’ultima è quella che vediamo quando osserviamo il Sole) ed una esterna (cromosfera, zona di transizione e corona).

Figura 2: L’osservazione della corona solare è possibile solamente bloccando la luce proveniente dalla fotosfera: ciò avviene durante le eclissi solari oppure sfruttando un occultatore. In rosso esempi di protuberanze solari. Immagine distribuita sotto licenza CC BY 3.0, Luc Viatour.

La corona solare è quella che si studia con un coronografo. I primi studi sulla corona solare, nella lunghezza d’onda del visibile, vennero compiuti nel XIX secolo durante le eclissi solari totali (per approfondimenti si veda “Corona Solare”, Landi degl’Innocenti, Ed. Springer, 2007). Tali studi erano limitati a causa della breve durata delle eclissi. Al giorno d’oggi, per osservare la corona solare, si impiegano dei telescopi rifrattori, noti come coronografi, da Terra o posti su sonde spaziali. Essi sfruttano un occultatore, che blocca la radiazione proveniente dalla fotosfera del Sole, come la Luna nelle eclissi: in questo modo è possibile osservare solamente la corona solare per lunghi tempi. Dagli osservatori spaziali si può inoltre studiare la corona solare in lunghezze che vengono assorbite dall’atmosfera terrestre, come l’ultravioletto, e che quindi sarebbero inaccessibili ai telescopi da Terra.

Cosa troviamo fenomenologicamente nella corona?

Protuberanze e filamenti: archi di plasma sostenuti dal campo magnetico solare che si innalzano dalla fotosfera raggiungendo la corona. Possono arrivare ad un’altezza di 30000 km con una velocità media di 670 km/s.

Figura 3: Un esempio di protuberanza solare. Courtesy of SOHO/EIT consortium. SOHO is a project of international cooperation between ESA and NASA.

Brillamenti: improvvisi aumenti del flusso della radiazione, emessa da regioni sovrastanti le macchie solari dove intensi campi magnetici collegano la fotosfera e la corona. L’energia rilasciata è dell’ordine dei 1025 Joule, ossia 2.4x1012 kilotoni: considerando che l’energia della bomba sganciata su Hiroshima fu di 13-18 kilotoni, un brillamento libera l’energia di 180 miliardi di “Little Boy”.

Figura 4: Un esempio di brillamento solare. Immagine distribuita sotto licenza CC BY 2.0, NASA Goddard Space Flight Center.

Pennacchi o Streamer: formazioni radiali di forma appuntita, con strutture interne ad arcata che collegano regioni di polarità magnetica opposta. Il plasma è intrappolato da queste strutture ed è per questo che i pennacchi sono molto brillanti.

Coronal Mass Ejections (CME): manifestazioni spesso associate ai brillamenti nelle quali vengono espulse grandi quantità di plasma. Questi eventi comportano l’espulsione di massa coronale compresa fra i 1012 - 1014 kg. Il plasma si muove ad una velocità compresa fra i 20 e i 3200 km/s con una velocità media di 500 km/s. Durante i periodi di massimo dell’attività solare possono essere rilevati diversi eventi di CME al giorno, mentre durante il minimo si ha un evento ogni 5-10 giorni.

Figura 5: Un esempio di Streamer e CME catturati nella stessa immagine. Courtesy of SOHO/EIT consortium. SOHO is a project of international cooperation between ESA and NASA.

Buchi coronali: scoperte nell’ambito della missione Skylab (1973), regioni di campo magnetico “aperto” che si osservano nei pressi dei poli. Essi appaiono più scuri per via della ridotta densità del plasma, circa 3 volte minore che nel resto della corona. Questi sono maggiormente visibili durante i minimi di attività solare, risultando invece di difficile osservazione durante il resto del ciclo undecennale.

Figura 6: Un esempio di buco coronale. Courtesy of NASA/SDO and the AIA, EVE, and HMI science teams.

Proprio per studiare questi fenomeni solari è di fondamentale importanza condurre osservazioni continue nell’Antartico. Ma come funziona una missione di questo tipo? Il progetto della costruzione di un coronografo per la stazione Concordia inizia nel 2013: la ricerca prende il nome di Extreme Solar Coronagraphy Antarctic Program Experiment (ESCAPE) e ha lo scopo di studiare la corona solare attraverso le più recenti strumentazioni come quelle che verranno usate per Solar Orbiter (una sonda che andrà in orbita nel febbraio 2019) e PROBA-3. Questa missione è una collaborazione tra l’Osservatorio Astrofisico di Torino (OATO) e l’Università degli Studi di Firenze. Il Principal Investigator è Silvano Fineschi dell’OATO, mentre il referente UNIFI è il Dr. Marco Romoli.

Il principale scopo scientifico della missione è lo studio del riscaldamento della corona, uno dei misteri più dibattuti della Fisica Solare: la corona raggiunge, infatti, temperature di 1-2 milioni di Kelvin, contro i circa 6000 K della fotosfera. Gli astrofisici concordano sul fatto che questo riscaldamento sia di natura magnetica, ossia che la corona incrementi la propria temperatura attingendo energia dal campo magnetico solare. Ci sono molti meccanismi teorici proposti per il riscaldamento della corona. Si va dalle teorie di nanoflare, per cui numerosi eventi di piccole dimensioni legate al campo magnetico causano la dissipazione energetica, alle teorie di onde di plasma, descritte nell’ambito della magnetoidrodinamica (MHD).

Tramite spettroscopia ad alta cadenza (fino a 0.5 s), ESCAPE studierà le caratteristiche della radiazione emessa dalla corona e il loro possibile contributo al riscaldamento coronale e all’accelerazione del vento solare. ESCAPE manterrà fino a 3 mesi di monitoraggio continuo in modo da mappare la conformazione e il comportamento del campo magnetico in corona contribuendo inoltre allo studio dello Space Weather.

Nella pratica ESCAPE è in grado di registrare lo spettro (l’intensità della radiazione emessa alle varie frequenze) mantenendo anche un’alta risoluzione spaziale. Quello che si ottiene è un’immagine in cui lungo una direzione (per esempio la verticale) si ha l’asse delle frequenze, mentre lungo l’altra (quella orizzontale) si ha la posizione di un dato punto sulla corona, il colore rappresenta infine l’intensità. Se a questo punto fissiamo una posizione (un’ascissa) e osserviamo il grafico dell’intensità in funzione della frequenza, otteniamo una curva che si può ben descrivere con una gaussiana di cui interessano la posizione del massimo e la larghezza a metà altezza (FWHM). Ripetendo questa operazione per tutti i valori dell’ascissa è possibile osservare, in funzione della posizione sulla corona, come varia il comportamento di una certa riga, in termini di larghezza e spostamento in frequenza del massimo. Da questi due parametri, rispettivamente, si possono ricavare gli stati termico (profilo di temperatura) e dinamico (profilo di velocità) della corona. D’altra parte, se sommiamo tra loro i contributi alle diverse frequenze, otteniamo l’intensità totale della radiazione emessa in un dato punto, da cui si può ricavare la densità della corona.

Per eseguire un’analisi precisa è necessario però osservare una singola riga. Questo si può fare anteponendo all’obiettivo del coronografo un filtro passa-banda centrato alla lunghezza d’onda di interesse. Nella parte più esterna della corona la riga di emissione più forte disponibile è la riga proibita del FeXIV a 530.3 nm (nel verde), ossia del Ferro ionizzato 13 volte (l’alta ionizzazione è dovuta all’elevata temperatura a cui si trova la corona solare, 1-2 milioni di Kelvin). Questa particolare lunghezza d’onda viene scelta anche perché corrisponde alle scale di temperatura caratteristiche dei fenomeni che si vogliono osservare (ad esempio i CME). Come si può vedere in figura, infatti, a seconda della lunghezza d’onda selezionata si osservano porzioni di corona a temperatura diversa, e quindi differenti fenomeni.

Il Sole presenta aspetti e fenomeni differenti in base alla lunghezza d’onda nel quale viene osservato. Per numerose e spettacolari immagini del Sole è possibile visitare i siti delle sonde SOHO e SDO della NASA. Courtesy of NASA/SDO and the AIA, EVE, and HMI science teams.

Per i più coraggiosi che sono riusciti a leggere fino in fondo, sappiate che dal prossimo anno inizierà la missione. La sua durata nominale è di 24 mesi (ma potrebbe durare di più): se siete appassionati, studiando molto e incrociando le dita, potrete andare anche voi ai confini del mondo! L’attività di ricerca dell’UNIFI sul Sole non finisce qui: il Dr. Marco Romoli è il responsabile di Metis (il coronografo che andrà su Solar Orbiter nel 2019) e se vi affascina questo mondo non esitate a contattarlo.

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Dr. Marco Romoli