Alla ricerca di indizi per comprendere la natura intima delle cose.

(A cura di Francesco Brizioli, Università degli Studi di Perugia e INFN)

La fisica delle interazioni fondamentali, anche detta fisica delle particelle elementari o delle alte energie, è quella parte della scienza che attualmente cerca di modellizzare, tramite leggi matematiche, le interazioni più profonde che avvengono in natura. L’aggettivo “fondamentale” non è casuale, dato che una tale teoria interessa dalle scale più piccole a quelle più grandi oltre a spiegare quanto accaduto pochi istanti dopo il Big Bang.

La difficoltà di questo tipo di ricerca risiede nel fatto che il mondo come noi oggi lo vediamo, evidentemente, non è lo stesso rispetto a qualche istante dopo l’alba dell’universo; per cui, se ci limitassimo ad osservarlo nelle sue attuali condizioni (stabili), sicuramente non avremmo a disposizione gli stessi fenomeni che avvenivano in situazioni più esotiche, come quelle immediatamente dopo il Big Bang.

Ciò significa spingersi a densità di energie davvero molto elevate, da cui l’appellativo fisica delle alte energie (si pensi che al momento del Big Bang enormi quantità di energia erano concentrate in uno spazio simile ad un punto), alle quali si formano ed interagiscono fra loro enti che sono i costituenti fondamentali del nostro universo: quelle che oggi chiamiamo particelle elementari.

Per ora abbiamo utilizzato essenzialmente due tipi di laboratori dove tali condizioni sono ricreate. Uno ci è messo a disposizione direttamente dalla natura: i raggi cosmici che vengono studiati sia da terra sia dallo spazio. Il secondo, forse la più grande realizzazione del sapere ingegneristico di cui disponiamo, sono gli acceleratori, macchine in grado di portare a velocità prossime a quelle della luce particelle che ancora oggi compongono la materia ordinaria che ci circonda (elettroni, protoni, ed eventualmente le rispettive antiparticelle). In questo modo si hanno a disposizione delle enormi quantità di energia concentrate in piccolissime porzioni di spazio in cui si possono riprodurre le condizioni esotiche volute.

Tale filone di ricerca, che non ha nemmeno un secolo di vita, ci ha portato ad una conoscenza molto approfondita circa i costituenti fondamentali del nostro universo e dei modi in cui essi interagiscono, permettendoci di raccogliere molti dati sperimentali e di elaborare una teoria capace di predire e spiegare tali risultati. La teoria che racchiude tutte lo nostre conoscenze in questo campo si chiama Modello Standard delle Interazioni Fondamentali (in breve SM, Standard Model). Tuttavia, se da un lato lo SM spiega in modo soddisfacente la maggior parte dei fenomeni che osserviamo, dall’altro lascia aperte tante domande. Ne sono un esempio l’energia e la materia oscura che sembrano costituire circa il 95% dell’universo; o ancora le ragioni dietro alla totale prevalenza della materia sull’antimateria in questo momento dell’universo. A queste si aggiungono numerose altre evidenze per cui la teoria non riesce a dare una spiegazione soddisfacente.

  • live_helpAntimateria vs materia

    Subito dopo il Big Bang, l’Universo era estremamente caldo ( kT > 1 GeV) e possedeva fotoni con energia sufficiente a produrre coppie barione-antibarione in equilibrio termodinamico. Con l’espansione, l’Universo si raffreddava favorendo l’annichilazione di materia e anti-materia. Secondo le nostre attuali conoscenze, ogni 109 antibarioni dovevano esistere 109 + 1 barioni, un’asimmetria che deve avere origini primordiali e che giustifica quanto osservato dalla Radiazione Cosmica di Fondo (CMB).

Uno dei modi per cercare degli indizi che permettano di falsificare il Modello Standard è quello di osservare degli eventi che, almeno per quanto ne sappiamo ora, avvengono molto raramente e per cui la conoscenza teorica (che vorremmo smentire, per trovare un indizio di quella che chiamiamo Nuova Fisica) è abbastanza buona.

La rarità è essenziale poiché, usando una metafora, è intuitivo come sia più facile trovare una pallina nera (eventi non previsti dal Modello Standard, ciò che non si conosce) in mezzo a dieci palline bianche (ciò che è previsto dal nostro attuale modello), rispetto al trovare la stessa pallina nera in mezzo a diecimila palline bianche. In altre parole è più facile che effetti non standard si manifestino quando non sono troppo mascherati da effetti standard.

La buona conoscenza di ciò che ci aspettiamo, cioè la previsione che il Modello Standard fa sul nostro fenomeno, è altrettanto importante poiché il confronto fra due risultati è tanto più efficace, e quindi potenzialmente utile a determinare una discrepanza fra misura e teoria, quanto più le incertezze sui risultati sono piccole. Con tale scopo sono nati numerosi esperimenti che analizzano processi molto rari profondamente legati alla teoria delle interazioni e di cui la teoria è in grado di fare predizioni molto precise.

Uno dei tanti processi attualmente in fase di studio è il decadimento di una particella chiamata kaone carico in altre tre particelle, un pione carico ed una coppia neutrino-antineutrino: K+→ π+ν ν.

Figura 1: Secondo lo SM la materia ordinaria è composta da combinazioni di quark, barioni (qqq) o mesoni (qq), e leptoni. I quark sono i soli ad essere interessati dall’interazione forte che permette la formazione di stati legati. Quark e leptoni risentono delle altre tre forze fondamentali: quella elettromagnetica (alla base dei fenomeni atomici e chimici), quella debole (causa di alcuni processi di decadimento come il decadimento β) e quella di gravità (attualmente non inclusa nello SM).

Sia il kaone che il pione fanno parte della famiglia dei mesoni, cioè quelle particelle che, a livello di struttura elementare, sono costituite da una coppia quark-antiquark. In particolare il kaone è costituito dalla coppia u, s (quark up, antiquark strange), mentre il pione è formato dalla coppia u, d (quark up, antiquark down). Il kaone ha una vita media di circa 12 ns e ha molti canali di decadimento possibili. I principali sono riportati in figura 1, con le relative frazioni di decadimento (branching ratio, cioè il numero di decadimenti di quel tipo che avvengono rispetto al numero di decadimenti totali della particella).

Figura 2: Decadimenti più frequenti del K+ e relativo branching ratio (valori approssimati all’unità percentuale).

Il decadimento K+ → π+ ν ν è un processo molto raro in quanto è previsto che ne avvenga uno ogni 10 miliardi di decadimenti (nove ordini di grandezza inferiore rispetto ai canali principali riportati in figura 1), e la cui previsione sulla frazione di decadimento ha un’incertezza di circa il 10%: BRModello Standard(K+ → π+ ν ν) = (0.84 ± 0.10) · 10−10.

I decadimenti sono solitamente schematizzati mediante i cosiddetti diagrammi di Feynman (vedi Figura 2). Da essi si evince come questo processo si basi sulla transizione da antiquark strange ad antiquark down (presente nella struttura interna del pione). Questi tipi di transizioni sono fortemente soppressi nel SM dal cosiddetto Meccanismo GIM, che giustifica il valore piuttosto piccolo delle frazioni di decadimento di tali processi.

Figura 3: Le transizioni sdνν sono descritte da diagrammi di Feynman particolari, detti diagrammi a pinguino.

Un modo per poter quindi mettere alla prova lo SM è quello di identificare questi tipi di eventi distinguendoli da altri decadimenti molto simili dal punto di vista della segnatura sperimentale (cioè i segnali che le particelle rilasciano nei rivelatori) ma molto più frequenti. Lo scopo dell’esperimento è dunque quello di effettuare una misura della frazione di decadimento con una buona precisione così da poterla confrontare con la previsione teorica ed eventualmente evidenziare effetti di nuova fisica.

Questo è ciò che sta tentando di fare l’esperimento NA62, installato lungo una linea di fascio di protoni estratta dall’acceleratore SPS, nella cosiddetta North Area del CERN (Figura 4). SPS è un acceleratore circolare che accelera protoni con lo scopo principale di iniettare questi in LHC, fungendo quindi da pre-acceleratore. Gli esperimenti lungo LHC non sono i soli a sfruttare i fasci prodotti da SPS che sono quindi inviati anche ad altri esperimenti: uno di questi è NA62.

In particolare nel caso di NA62 i protoni provenienti da SPS, con un impulso pari a 400 GeV, vengono fatti collidere con un bersaglio fisso di berillio. Dalle interazioni che avvengono in queste collisioni si seleziona un fascio secondario di particelle cariche, di impulso pari a 75 GeV, costituito essenzialmente da pioni (70%), protoni (24%) e kaoni (6%), che sono quelli studiati da NA62.

Figura 4: Vista dall’alto dell’area del CERN. In evidenza lo schema degli acceleratori SPS e LHC, insieme alla linea di fascio estratta da SPS che serve NA62.

L’installazione dell’esperimento è terminata nel 2016, quando si è iniziato a raccogliere dati utili alle analisi di fisica. Successivamente si sono raccolti dati nel 2017, e da poco (lo scorso 9 aprile) è iniziato un nuovo anno di presa dati. Per poter raggiungere il suo scopo, NA62 ha bisogno di rivelatori di particelle che permettano di identificare il decadimento di segnale e contemporaneamente di rigettare gli altri decadimenti (detti “di fondo”, che hanno caratteristiche simili).

Il decadimento di segnale ha una segnatura sperimentale molto semplice: si ha un’unica particella carica che rilascerà la sua energia nei vari rivelatori, ovvero il pione e due neutrini che hanno probabilità praticamente nulla di interagire con i rivelatori di NA62. Infatti l’unica “segnatura” posseduta da queste particelle fantasma è l’energia mancante fra il kaone prima del decadimento e il pione prodotto: tale energia corrisponde a quella dei due neutrini. Uno schema della cinematica del canale di segnale è riportata in Figura 5.

Figura 5: Schema della cinematica del decadimento K+ → π+ ν ν.

Tutti gli altri canali di decadimento avranno delle segnature diverse, in base alle particelle che compongono lo stato finale. I due canali che costituiscono il fondo principale per il segnale sono i seguenti: K+ → π+ π0 (detto K2pi); K+ → µ+ ν (detto Kmu2); entrambi hanno probabilità di avvenire oltre un miliardo di volte superiore rispetto a quella del decadimento di segnale. Questi due decadimenti hanno una segnatura sperimentale diversa dal decadimento cercato: infatti nel K2pi oltre al pione carico vi è il pione neutro, che decade quasi sempre in due fotoni (facilmente osservabili dai rivelatori di NA62); il Kmu2 ha come particella carica un muone, che riesce a penetrare la materia molto più profondamente rispetto al pione), per cui grazie ad appositi rivelatori esso può essere distinto.

Per fornire un esempio specifico, uno dei modi con cui NA62 identifica la tipologia di particella carica presente nello stato finale del decadimento è l’utilizzo del RICH, un rivelatore il cui funzionamento è basato sull’effetto Cherenkov.

In particolare nel RICH viene misurato il raggio del cono di luce Cherenkov prodotto dal passaggio della particella carica nel mezzo radiatore (gas neon) presente all’interno del RICH, che, secondo la teoria dell’effetto Cherenkov è funzione della velocità della particella. La natura delle particelle, ovvero la loro massa, può essere ricavata combinando la misura della velocità (ottenuta dal rivelatore RICH) ed una dell’impulso fornita da uno spettrometro (STRAW). In Figura 6 si riporta il raggio misurato dal RICH in funzione dell’impulso misurato dallo spettrometro, da cui emerge come le diverse tipologie di particelle cariche forniscono distribuzioni separate, che permettono di effettuarne l’identificazione.

Figura 6: Raggio dell’anello Cherenkov in funzione dell’impulso della particella carica. I diversi tipi di particelle (positroni, muoni, pioni, kaoni) generano diverse distribuzioni [1].

Il problema è che, essendo i canali di fondo molto più frequenti rispetto al decadimento di segnale, è sufficiente sbagliare anche poche volte nell’identificazione del decadimento per ottenere un numero di eventi di fondo che sovrasta gli eventi di segnale.

Se ad esempio i due fotoni provenienti dal pione neutro del decadimento K2pi vengono per un qualche motivo persi (ad esempio perché finiscono in una regione non in grado di raccogliere i segnali), allora esso può essere confuso con il decadimento di segnale. Quindi, date le probabilità relative dei decadimenti, è sufficiente sbagliarsi anche soltanto una volta ogni miliardo nella reiezione dei canali di fondo per avere una presenza di essi maggiore di quella degli eventi di segnale (che corrisponderebbe ad effettuare la misura con errore superiore al 100%). È quindi necessario un livello di sensibilità estremamente elevato.

Quello di cui ha dunque bisogno NA62 è un insieme di rivelatori che siano il più possibile ermetici, cioè in grado di rivelare tutte le particelle prodotte nei decadimenti (ad eccezione dei neutrini), e che possano identificare sia i fotoni che la natura delle particelle cariche presenti (pioni, muoni, elettroni).

Per migliorare ulteriormente la capacità di identificazione del segnale e di reiezione del fondo, si utilizza la cosiddetta analisi cinematica, cioè l’applicazione di leggi di conservazione (energia ed impulso) fra stato iniziale e stato finale. Per effettuare questa analisi è necessario che i rivelatori di NA62 siano in grado di misurare con precisione energia, impulso e direzione di moto delle particelle sia prima (kaone) sia dopo il decadimento.

Gli unici dati che per ora sono stati completamente analizzati sono quelli del 2016, da cui è già emerso un risultato molto importante: è stato verificato che la tecnica sperimentale utilizzata da NA62 funziona, ed è stato osservato un evento candidato ad essere proprio il decadimento ultra-raro K+→ π+ν ν.

La Collaborazione NA62, di cui una parte rilevante è costituita da gruppi italiani fra cui il gruppo dell’Università e dell’INFN di Perugia, ha annunciato tale risultato lo scorso marzo. La collaborazione confida nel fatto che dai dati del 2017 e del 2018 si possa ottenere un significativo numero di eventi, così da poter effettuare una misura della frazione di decadimento abbastanza precisa. In questo modo i risultati potranno essere confrontati con la teoria per andare a caccia di qualche indizio verso dove guardare per scrutare la natura ancora più a fondo, e, magari, andare verso la comprensione di aspetti che per ora risultano del tutto ignoti.

Tutto ciò potrebbe essere un buon punto di partenza, che forse ci indicherà la strada giusta per mirare all’arrivo (sempre se esiste) oppure semplicemente un nuovo inizio!

Per approfondire

[1] E. Cortina Gil et al, The beam and detector of the NA62 experiment at CERN, 2017 JINST 12 P05025.

[2] La pagina web di NA62.

Contatti utili

Riferimenti per il gruppo NA62 di Perugia (Università e INFN)

Giuseppina Anzivino

Mauro Piccini

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