Uno sguardo alle collaborazioni scientifiche dietro all’osservazione delle onde gravitazionali.

(A cura di Niccolò Baldelli e Jacopo Mazza)

Era l’11 febbraio 2016 quando un visibilmente emozionato David Reitze, executive director di LIGO, pronunciò di fronte ad una gremita sala stampa di Washington, D.C. le fatidiche parole “We have detected gravitational waves. We did it!” Contemporaneamente, a 7000 chilometri di distanza, nella campagna pisana, un più composto Fulvio Ricci - portavoce di VIRGO - annunciava la medesima scoperta a questo lato dell’Atlantico.

Misura di un’onda gravitazionale. Il grafico mostra il segnale ricevuto da LIGO e relativo alla coalescenza di due buchi neri, evidenziando le tre fasi inspiral, merger e ring-down. È anche mostrata, in funzione del tempo, la separazione e la velocità relativa dei due buchi neri. Immagine distribuita sotto licenza CC-BY-3.0, B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration). “Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger”. Phys. Rev. Lett. 116: 061102. DOI:10.1103/PhysRevLett.116.061102.

Misura di un’onda gravitazionale, confronto tra i segnali ricevuti dagli apparati di Hanford, Washington (H1) and Livingston, Louisiana (L1). È anche mostrato il segnale in frequenza. Immagine distribuita sotto licenza CC-BY-3.0, B. P. Abbott et al. (LIGO Scientific Collaboration and Virgo Collaboration). “Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger”. Phys. Rev. Lett. 116: 061102. DOI:10.1103/PhysRevLett.116.061102.

Einstein aveva ragione, dunque. Di nuovo. Genuflessioni di fronte al genio a parte, c’è in effetti molto di più in quest’annuncio della sola conferma sperimentale ad una predizione fatta cent’anni fa. Sulle onde gravitazionali si è scritto, detto, postato, twittato molto, tanto che lo spazio-tempo si è sostituito, nell’immaginario comune, ad un grande e nero tappeto elastico permeante il cosmo. Non è nostra intenzione aggiungere un poco rilevante contributo ad una così vasta letteratura: ci limiteremo a consigliarvi dei riferimenti per approfondire. Ci preme, invece, cavalcare l’entusiasmo che segue l’inaugurazione, lo scorso 20 febbraio, di VIRGO, un osservatorio di onde gravitazionali situato a Càscina (poco fuori Pisa), per parlare di questo esperimento, dei suoi cugini negli Stati Uniti e delle collaborazioni scientifiche che li gestiscono: VIRGO, appunto, in Europa e LSC, negli USA.

Rivelare il passaggio di un’onda gravitazionale si traduce, nella pratica, nel misurare con altissima precisione una variazione di lunghezza. Uno strumento che permette di farlo con grande accuratezza è l’interferometro di Michelson, che gli studenti di fisica conosceranno sicuramente per i corsi di laboratorio: per questo gli osservatori di onde gravitazionali attuali sono costituiti da lunghi (alcuni chilometri) tubi a vuoto entro i quali corre un fascio laser. Il passaggio dell’onda gravitazionale induce una modulazione del tempo di volo del fascio entro la cavità, in fase con l’onda stessa. Si tratta di una misura difficile e, anche per questo, molto bella.

Setup dell’apparato LIGO. Immagine distribuita sotto licenza CC0.

  • live_help Realmente, quanto è difficile questa misura?

    La variazione di lunghezza che si cerca di misurare è scrivibile come prodotto tra la lunghezza di volo del laser ed una funzione che dipende anche dalla frequenza dell’onda gravitazionale. Nel caso dei segnali osservati la variazione è stata, in termini relativi, dell’ordine di 10-22: per questo occorrono bracci molto lunghi.

C’è chi ha fatto notare che questi esperimenti costituiscono un condensato di buona parte della Fisica del XX secolo: vi sono coinvolte professionalità molto diverse, che spaziano dall’astrofisica all’ottica quantistica, dal calcolo numerico alla scienza dei materiali - solo per fare alcuni esempi. Come in tutte le misure di precisione, una grande sfida è rappresentata dall’abbattimento del rumore, cioè dalla sottrazione di tutti gli effetti spuri che disturbano la misura. Negli interferometri VIRGO e LIGO le fonti di rumore sono molte e molto diverse: le vibrazioni del suolo (rumore sismico e newtoniano), quelle termiche, le fluttuazioni quantistiche del laser, lo shot noise (il rumore prodotto dai portatori di carica quando attraversano una barriera di potenziale)… Fondamentalmente tutto ciò cui riuscite a pensare - e forse qualcosa di più.

Nota simpatica: l’ampiezza del rumore è spesso rappresentata in un grafico in funzione della frequenza. Se volete distinguere con una sola occhiata i grafici americani da quelli europei, cercate il picco altissimo a bassa frequenza: se è a 50Hz siete in Europa, a 60Hz negli USA.

Per cercare di orientarci meglio abbiamo chiesto aiuto al Dott. Giancarlo Cella, ricercatore della sezione INFN di Pisa impegnato nella collaborazione VIRGO.

N: LSC/LIGO e EGO/VIRGO sono due gruppi di ricerca distinti e fanno capo a strutture amministrative diverse, ma non lavorano in maniera del tutto indipendente: come funziona la loro collaborazione?

G: È molto stretta, tanto che si parla di un’unica collaborazione LSC-VIRGO. LSC comprende tutte le università ed i gruppi di ricerca americani che fanno capo a LIGO, mentre VIRGO comprende gruppi di diverse nazioni, soprattutto Francia e Italia, ma anche Olanda, Polonia, Ungheria e recentemente Spagna. Scriviamo e firmiamo le pubblicazioni insieme, analizziamo i dati sperimentali congiuntamente, c’è dunque un grande scambio di persone e conoscenze tecniche fra i vari esperimenti; possiamo quindi dire che l’aspetto collaborativo tra i due esperimenti è preponderante rispetto a quello competitivo. Questo storicamente è anche dovuto alla difficoltà nel rilevamento delle onde gravitazionali, che ha portato, nei primi tentativi di detection, condotti negli Anni 60 da Weber, a diversi casi di falso positivo: si è ritenuto quindi necessario avere un larghissimo margine di certezza prima di poter fare qualsiasi annuncio, e l’unico modo per poter ottenere questo è vedere lo stesso segnale con diversi rivelatori indipendenti, che permettono anche di abbattere l’errore sulle misure e definire con maggiore precisione l’origine del segnale.

N: Quali sono gli esperimenti di onde gravitazionali attivi in questo momento nel mondo?

G: In questo momento in presa dati scientifica ci sono i due interferometri di LIGO. Noi a VIRGO abbiamo terminato la costruzione da diversi mesi e lo abbiamo inaugurato lo scorso 20 febbraio; adesso si apre una fase di qualche mese, chiamata commissioning, in cui regoliamo lo strumento in modo da tenerlo nelle vicinanza del “punto di lavoro” ideale, successivamente l’ultima fase servirà a cancellare le ultime cause di rumore rimaste, in modo da aumentare la sensibilità dello strumento. Terminata la messa a punto raccoglieremo dati per alcuni mesi, dopodiché ci fermeremo per effettuare degli upgrade all’apparato. Questo processo si ripeterà per alcuni anni fino a raggiungere la cosiddetta “sensibilità di disegno”, cioè il limite di precisione permesso dalle tecnologie attuali. Il nostro obiettivo è quello di migliorare di un fattore 10 la sensibilità rispetto all’interferometro VIRGO in funzione fino al 2011.

Vista aerea dell’infrastruttura di VIRGO. Immagine distribuita sotto licenza CC0.

N: Ci sono altri rivelatori in costruzione?

G: C’è un progetto già in costruzione in giappone, KAGRA, che dovrebbe essere terminato entro il 2019. La struttura di base è la stessa degli altri rivelatori ma userà la criogenia come metodo di riduzione del rumore. Poi ci sarà LIGO India, ma per questo ci sarà da aspettare almeno fino al 2020 (se non di più). La struttura di LIGO India sarà sostanzialmente la stessa degli altri due rivelatori americani, ma coprirà una zona della sfera celeste diversa. Esiste inoltre il progetto di un interferometro “spaziale”, LISA, in cui le stazioni terminali (specchi, laser) si troveranno in orbita separate da distanze astronomiche. Ovviamente queste distanze ed il collocamento permetteranno di studiare segnali a frequenze molto più basse rispetto a quelle terrestri.
Stiamo infine pensando alla progettazione di rivelatori di terza generazione, che saranno sempre interferometri ma con bracci molto più lunghi, indicativamente 10 km rispetto agli attuali 3 km. Un’idea è anche quella di costruire un interferometro sotterraneo per ridurre i rumori.

N: Quindi l’idea è quella di estendere il network di rivelatori con strumenti simili, per aumentabile la sensibilità?

G: Un motivo è quello, un altro è quello di ridurre le direzioni cieche: ogni interferometro può rilevare segnali solo in certe direzioni, aggiungendone altri sarà possibile ottenere una copertura quasi completa della sfera celeste. C’è da dire inoltre che diversi modelli della gravità, oltre alla Relatività Generale, includono al loro interno le onde gravitazionali; conoscere con maggior precisione le caratteristiche di queste onde ci può permettere di scegliere il modello più corretto.

N: Annunciata la prima rivelazione, quali sono ora i vostri obiettivi scientifici?

G: Oltre alle coalescenze tra buchi neri come quelle osservata l’anno scorso cerchiamo eventi analoghi che coinvolgono due stelle di neutroni o un buco nero e una stella di neutroni. Può sembrare una variazione sullo stesso tema, ma osservazioni di questo genere sono molto importanti da un punto di vista delle deduzioni scientifiche: per esempio due stelle di neutroni si avvicinano molto di più prima di fondersi rispetto ai buchi neri ed entrano in un regime in cui gli effetti di gravità forte sono molto più evidenti. Lo studio di questi fenomeni ci permette di valutare la correttezza dei modelli teorici in questi casi estremi. Fra le altre sorgenti ci sono le stelle di neutroni rotanti: le onde gravitazionali che emettono possono permettere di valutare il loro grado di deformazione (le stelle perfettamente sferiche non emettono).
Anche le supernove possono emettere lampi molto brevi di radiazione gravitazionale che ci permettono di capire cosa succede durante l’esplosione; analizzando congiuntamente questi dati con l’emissione di neutrini e di radiazione elettromagnetica possiamo definire meglio la dinamica dell’evento. C’è anche interesse dal punto di vista cosmologico: attualmente possiamo spingerci con l’osservazione dell’Universo fino a 380.000 anni dopo il Big Bang studiando la radiazione cosmica di fondo a microonde, perché prima di questo momento l’Universo era opaco alla radiazione elettromagnetica (la materia era sotto forma di plasma). Non era però opaco alla radiazione gravitazionale quindi con strumenti abbastanza sensibili potremmo rivelare il cosiddetto fondo stocastico e spingerci sempre più vicini alla nascita dell’Universo.

N: Che tipo di formazione si deve avere per partecipare all’esperimento?

G: Per la costruzione ed il perfezionamento dello strumento servono competenze di tipo sperimentale, legate soprattutto all’ottica, alla meccanica e all’elettronica per il controllo dell’apparato. Per analizzare i dati è richiesto un buon background di statistica e teoria della rivelazione e di capacità nella scrittura di codice. Nella comunità che gira intorno all’esperimento ci sono anche molti astrofisici e cosmologi. C’è anche una forte richiesta di competenze ingegneristiche, sempre sui temi di ottica meccanica ed elettronica.

N: Ci sono possibilità per passare un po’ di tempo a LIGO e VIRGO come studenti?

G: Sì, ci sono possibilità di stage estivi (e.g. il programma di scambio estivo INFN - NSF/LIGO, NdR) sia a VIRGO che a LIGO. Al momento però uno studente italiano può andare solamente a LIGO ed uno americano solamente a VIRGO. Ci stiamo attrezzando per poter offrire un’esperienza qui in Italia anche agli studenti italiani.

Abbiamo poi voluto raccogliere il contributo di una persona entrata da poco nel mondo delle onde gravitazionali, che ci parlasse della sua esperienza personale nella collaborazione: ci ha aiutati Giulia Pagano, laureanda in fisica presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa.

N: Di cosa ti occupi in questo periodo?

G: Insieme al dott. Cella lavoro a una tesi magistrale sul fondo stocastico di onde gravitazionali. È una tesi teorica ma non particolarmente astratta, come potrebbe essere invece una ricerca sulla quantizzazione della gravità, ad esempio. N: Qual è stato il tuo percorso di studi? G: Ho sempre studiato a Pisa. Il percorso della triennale è uguale per tutti, non ci sono molte possibilità di personalizzarlo; alla magistrale invece mi sono iscritta al curriculum Fisica Teorica: è il più libero di quelli offerti a Pisa, infatti ho scelto di seguire corsi molto vari - da fisica statistica a sistemi complessi; avrei voluto fare più corsi specifici sulla gravità, ma quell’anno il corso di teorie della gravitazione non era attivo, quindi lo sto seguendo ora (il corso tratta vari aspetti teorici della gravità come teoria di campo classica ed introduce alla sua quantizzazione; il Dipartimento offre anche un corso introduttivo alla Relatività Generale, più indirizzato verso le applicazioni, NdA).
 Ho iniziato a pensare alla tesi alla fine del quarto anno, quindi abbastanza presto perché ho finito gli esami presto. Anche perché comunque per la tesi occorre studiare molto, in particolare per argomenti come la gravità che non si vedono alla triennale.

N: Come ti stai integrando nella collaborazione?

G: Naturalmente non si inizia subito ad essere presenti ovunque. Cio che faccio ora è partecipare alle riunioni settimanali del gruppo che fa analisi dei dati sul fondo stocastico, appunto.
Ovviamente c’è gente molto più competente di me, professori, ma anche dottorandi e altri laureandi. La cosa bella è che si tratta di un gruppo variegato, non solo in termini di qualifica delle persone ma anche come interessi di ricerca; quando sarò arrivata ad un buon punto con la tesi potrò esporre i miei risultati, ma ci sono comunque persone che parlano del loro lavoro sui buchi neri, ad esempio, o in altri ambiti legati alla gravità ma non necessariamente al fondo stocastico. È comunque interessantissimo secondo me prendervi parte, anche perché ci si rende conto di cosa viene fatto in questo momento a Pisa. Non lavoro al rivelatore VIRGO, presto però ci andrò per partecipare ad un workshop. Si tratta di un evento internazionale, mirato a promuovere la collaborazione tra ricercatori italiani e francesi; parte sarà dedicata a lezioni, nella restante parte verremo divisi per aree tematiche e dovremo approfondire un tema. Questo è quello che faccio nella collaborazione: ascolto chi ne sa di più e cerco di capire come funziona. Credo sia fondamentale per orientarsi, non ci si può aspettare di iniziare immediatamente a lavorare al pari di ricercatori esperti. Ad ogni modo, è interessante vedere come all’interno dello stesso ramo, in questo caso le onde gravitazionali, coesistano indirizzi diversi: alcuni studiano coalescenze binarie di buchi neri, altri il fondo stocastico…

N: Hai mai avuto modo di capire cosa si fa a LIGO?

G: Attualmente no, perché quello che faccio è legato specificamente a VIRGO. C’è un ragazzo che lavora insieme a me, però, che aveva già rapporti con LIGO perché vi è andato in Summer Exchange e quindi è più inserito in questo contesto. Chi è più interessato agli Stati Uniti quindi può costruire il proprio percorso in maniera opportuna.

N: Cosa consiglieresti a chi vorrebbe avvicinarsi alla collaborazione?

G: Se non hanno contatti con professori all’interno dei loro dipartimenti, un’ottima possibilità è il programma estivo a LIGO, perché dà modo di entrare nella collaborazione, conoscere persone… Altrimenti occorre lavorare con qualcuno che si occupa di questi argomenti; insomma, la ricerca scientifica si fa insieme, nessuno è da solo.