Dall’elettromagnetismo al confinamento di antimateria

(A cura di Emilio Villa, Università degli Studi di Milano)

Prima di tutto: che cos’è un plasma? In natura la forza elettromagnetica tende a formare strutture, come ad esem\o atomi, molecole stabili, cristalli, ecc. Tali sistemi hanno energie di legame maggiori dell’energia termica dell’ambiente in cui si trovano. Quando sono posti in un ambiente sufficientemente caldo, i legami si spezzano: gli atomi, ad esempio, si dividono in elettroni (carichi negativamente) e ioni (carichi positivamente). Il risultato è un insieme di cariche che non sono né libere, essendo sottoposte ai campi elettromagnetici di tutte le altre cariche, né legate: in questo caso si osserva l’emergere di dinamiche collettive complesse. Il termine plasma è usato proprio per riferirsi a sistemi di questo tipo.

Dal momento che i primi legami a spezzarsi con l’aumento della temperatura sono i legami inter-atomici, i plasmi terrestri si formano per lo più a partire dalla fase gassosa. Esempi di plasmi terrestri sono i fulmini e le aurore boreali (Figura 1), nonché tutti i plasmi generati in laboratorio o per applicazioni industriali. Nonostante la scarsa presenza sulla Terra, va notato che circa il 95% della materia presente nell’universo è costituita da plasma.

  • Figura 1: Un esempio di plasma terrestre: l’aurora boreale. Immagine distribuita sotto licenza Creative Commons CC0.

In fisica dei plasmi, la ricerca più significativa riguarda la fusione termonucleare controllata come possibile fonte di energia per il futuro. È proprio in questo contesto che il confinamento del plasma diventa essenziale. Il plasma è un sistema carico e pertanto può essere confinato mediante l’utilizzo di opportuni campi elettromagnetici, generati facendo passare corrente in apposite bobine: la geometria dei campi necessaria per il confinamento può risultare piuttosto complessa. Negli anni sono state sviluppate due tipologie di macchine adatte a confinare il plasma. Da una parte si hanno delle ciambelle regolari avvolte da bobine quasi circolari dette Tokamak (Figura 2), dall’altra macchine dalle forme più bizzarre che prendono il nome di Stellarator (Figura 3). Per garantire il confinamento le prime fanno passare delle forti correnti sia nelle bobine sia nel plasma, mentre le seconde fanno uso di bobine disegnate ad hoc. Il confinamento del plasma è essenziale non solo per tutte le possibili applicazioni, come ad esempio la costruzione di un reattore a fusione, ma anche semplicemente per poterlo studiare.

  • Figura 2: Interno di un Tokamak. Immagine distribuita sotto licenza CC BY 3.0.
  • Figura 3: Schema rappresentativo di uno Stellarator: sono mostrate in blu le bobine distorte nello spazio e in giallo il plasma connato all’interno della camera. Immagine distribuita sotto licenza CC BY 3.0.

I plasmi si dividono in non-neutri e neutri. Nei primi, popolazioni con cariche opposte non si bilanciano esattamente e pertanto il sistema nell’insieme non è neutro, nei secondi accade l’esatto contrario. I primi sono caratterizzati da una dinamica più semplice nonostante presentino comunque aspetti in comune con i plasmi neutri.

Per studiare i plasmi non-neutri è stata sviluppata negli anni ’30 la cosiddetta macchina di Penning-Malmberg, dal nome dei suoi creatori. Lo schema di una macchina di Penning-Malmberg è mostrato in Figura 4: come si vede, il plasma è confinato semplicemente per mezzo di due opportune barriere di potenziale e di un campo magnetico uniforme diretto assialmente.

  • Figura 4: Schema di una trappola di Penning: il cilindro conduttore e diviso in tre settori di cui i due all’esterno sono posti a potenziale positivo per connare assialmente il plasma di ioni positivi. Il connamento radiale e garantito dal campo magnetico B uniforme diretto assialmente. Immagine distribuita sotto licenza CC BY 3.0.

Queste trappole consentono di studiare diversi fenomeni fisici di interesse, come ad esempio i fenomeni collettivi. Il plasma presenta una dinamica analoga a quella di un fluido incomprimibile bidimensionale e quindi le trappole possono essere impiegate per studiare la dinamica e gli stati di equilibrio di sistemi fluidi come ad esempio i flussi turbolenti, la formazione di strutture coerenti (vortici) e la cristallizzazione in stati di equilibrio non banali. Cfr. Thomas M. O’Neil Trapped Plasmas with a Single Sign of Charge. Phys. Today 52, 2, 24 (1999). La dinamica e l’equilibrio dei plasmi non-neutri diventano più complicati in presenza di contaminazioni, come ad esempio l’esistenza di due diverse specie intrappolate: “sporcando” con cariche opposte il plasma si può dare vita a fenomeni di instabilità. Studiare queste instabilità è di fondamentale importanza per compiere studi sull’anti-materia. Infatti l’unico metodo per la produzione controllata e il confinamento di anti-idrogeno a basse energie tali da permettere studi di simmetria materia anti-materia sulla struttura atomica si basa sull’uso di trappole di Penning-Malmberg. Cfr The ALPHA Collaboration Confinement of antihydrogen for 1,000 seconds. Nat. Phys. 7, 558-564 (2011). Il confinamento, il raffreddamento e la sovrapposizione delle due specie utilizzate per la ricombinazione dell’anti-idrogeno coinvolgono processi complessi per i quali sono necessari un’ottima conoscenza dei fenomeni di instabilità e lo sviluppo di tecniche accurate di manipolazione e controllo di specie cariche.

Generazione RF, caos e instabilità in Unimi

È proprio una macchina di Penning-Malmberg quella utilizzata nel laboratorio di plasmi del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano per indagare questi complicati sistemi. La macchina si chiama ELTRAP (ELectron TRAP) (in Figura 5) ed è usata per confinare e studiare plasmi di elettroni.

  • Figura 5: Foto della macchina ELTRAP aperta: si vedono distintamente gli elettrodi di cui e composta.

La camera a vuoto di ELTRAP, mantenuta in regime di ultra alto vuoto (10-8 - 10-9 mbar), è attorniata da 12 elettrodi cilindrici. La lunghezza massima di confinamento è di circa 1 m, mentre il raggio della camera di circa 45 cm. I due elettrodi esterni sono sempre mantenuti a terra in modo tale che il potenziale al di fuori della regione di intrappolamento sia ben definito; qualunque coppia di elettrodi interni può invece essere posta a potenziale negativo (positivo) di intensità Vwell ≤ 100 V per creare una buca per elettroni (ioni). La camera è attorniata da un solenoide in grado di produrre un campo omogeneo diretto assialmente ≤ 0.2 T. In queste condizioni, il plasma di elettroni ottenuto è caratterizzato tipicamente da frequenze di ciclotrone nel range dei GHz e frequenze di rotazione dell’ordine dei 10-100 kHz. La frequenza legata al moto assiale di bounce degli elettroni è dell’ordine di 0.1-1 MHz. La macchina è fornita di due diagnostiche, una ottica, una elettrostatica. Ponendo a terra uno degli elettrodi esterni, il plasma può essere proiettato dalla camera su uno schermo al fosforo che accoppiato ad una CCD consente di visualizzarne l’immagine trasversale. In alternativa, si può misurare la corrente indotta dal plasma su uno degli elettrodi compresi nella regione di confinamento. Alcuni degli elettrodi infatti sono appositamente suddivisi in più settori a questo scopo.

La ricerca del gruppo di plasmi dell’Unimi si focalizza principalmente su un meccanismo di generazione del plasma basato sul riscaldamento a radiofrequenza del gas residuo presente all’interno della camera, da qui in avanti detto generazione RF Cfr. Paroli et al. Broadband radio frequency plasma generation in a Penning–Malmberg trap. Plasma Sources Sci. Technol. 19, 4, 045013 (2010). ll plasma è prodotto ponendo due elettrodi esterni a potenziale negativo e uno degli elettrodi interni alla regione di confinamento ad un potenziale sinusoidale VRF sin(2 π νRFt) con ampiezza tipicamente di 1-5 V e frequenza nel range 1-10 MHz. Il riscaldamento caotico degli elettroni liberi porta ad una ionizzazione a valanga del gas residuo con conseguente formazione di plasma di elettroni in tempi dell’ordine di 100 ms.

Solitamente la generazione del plasma sfrutta l’iniezione di elettroni nella trappola mediante sorgenti esterne come termocatodi, fotocatodi o catodi a emissione di campo. Il meccanismo usato recentemente in ELTRAP non necessita di tali sorgenti, in quanto sfrutta il gas neutro già presente nella camera. D’altro canto l’utilizzo di questo metodo porta alla formazione di un plasma parzialmente neutralizzato, in quanto parte degli ioni creati in fase di generazione rimane a sua volta intrappolata all’interno della camera: ciò determina delle instabilità del sistema.

Il gruppo ha effettuato uno studio sistematico della dipendenza della generazione RF dalla lunghezza di trappola, dall’ampiezza del drive RF, dall’intensità del campo magnetico e dalla pressione presente all’interno della camera a vuoto, finalizzato a investigare il range di applicabilità ed efficenza della generazione RF Cfr. Maero et al. Low-power radio-frequency excitation as a plasma source in a Penning–Malmberg trap: a systematic study. J. Plasma Phys. 81, 5, 495810503 (2015). I risultati hanno confermato la possibilità di utilizzare la generazione RF come schema di produzione del plasma alternativo a quelli ad iniezione; in termini di quantità e densità di carica infatti si ottengono risultati comparabili con i plasmi ottenuti mediante l’impiego di sorgenti esterne. Si ha tuttavia lo svantaggio di avere un limitato controllo sulle proprietà del plasma prodotto: infatti, potrebbero essere generate colonne molto dense di plasma, così come sistemi diffusi a bassa densità. Le tecniche di manipolazione dei plasmi generati tradizionalmente (iniezione di elettroni da sorgenti esterne) sono ben note - Cfr. Danielson et al. Plasma and trap-based techniques for science with positrons. Rev. Mod. Phys. 87, 247. (2015) - e permettono di ottenere sistemi con caratteristiche specifiche (ad esempio colonne dense al centro della trappola). Tuttavia, non è detto che tali manipolazioni abbiano lo stesso effetto su quelli sottoposti a eccitazione continua (generazione RF). Di recente si stanno studiando meccanismi di eccitazione risonante (e non) per comprimere il plasma nel tentativo di ottenere le configurazioni desiderate. Inoltre, lo studio dei plasmi generati con tecniche RF ha portato all’osservazione di fenomeni mai osservati prima, come ad esempio l’esistenza di uno stato di equilibrio fuori asse caratterizzato da una modulazione che potrebbero permettere l’individuazione di nuove tecniche di manipolazione del sistema. Cfr. Paroli et al. Diocotron modulation in an electron plasma through continuous radio-frequency excitation. Phys. Plasmas 21, 122102 (2014).

Perché occuparsi di tutto questo?

Il plasma è un sistema molto complesso che richiede uno sforzo consistente per poter essere compreso. Spiegare da un punto di vista teorico il meccanismo di generazione RF è una vera sfida e per ora sono stati formulati modelli semplificati quanto meno per dare conto della sua efficacia. Il grosso del lavoro fatto è di tipo sperimentale e computazionale.

Partecipare alla ricerca in Unimi sui plasmi non-neutri è stimolante, consente di cimentarsi in un lavoro completo, in cui mettersi in gioco sia per quel che riguarda la progettazione dell’esperimento sia per quel che riguarda la presa dati e la scrittura del software necessario all’analisi. Si ha la possibilità di avere un intero laboratorio per sé e di occuparsi direttamente di tutti gli aspetti del lavoro di ricerca. Si ha la possibilità di imparare a gestire una macchina come ELTRAP, dovendo tenere sotto controllo ogni singolo aspetto: dal potenziale degli elettrodi al (banale quanto facile da dimenticare) allineamento della CCD con l’asse della macchina. Inoltre la progettazione dell’esperimento passa attraverso uno studio piuttosto approfondito della dinamica del plasma e in particolare delle sue instabilità: per poter indagare determinate caratteristiche bisogna sapere ad esempio che tipo di plasma è necessario ottenere (colonna densa di piccolo raggio decentrata, diffuso e a bassa densità, con modulazione ecc…) e quindi bisogna saper fare un appropriato tuning dei parametri sperimentali.

Concludendo, se siete interessati a vivere un’esperienza di ricerca completa in cui dovete sapere fare un po’ di tutto, i plasmi e in particolare il laboratorio di plasmi dell’Unimi fanno al caso vostro!

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